Un inceneritore di rifiuti è un impianto industriale che utilizzando un processo di combustione a temperatura elevata (normalmente al di sopra dei 1.000)trasforma rifiuti di varia natura in un prodotto finale costituito da gas, ceneri e polveri. L'impianto è di norma dotato di un sistema per il recupero del calore che viene utilizzato per generare vapor d'acqua successivamente impiegato o per azionare turbine e quindi per la produzione di energia elettrica o come fluido termovettore per il teleriscaldamento. Per questo motivo si tende a denominare gli inceneritori "termovalorizzatori". Questa terminologia non è però universalmente accettata anzi è oggetto di feroci e talvolta violente contestazioni da parte consistente dell'opinione pubblica, ma anche del consesso scientifico. Le motivazioni di tale aspro dissenso possono essere così riassunte:
-Il termine termovalorizzatore è fuorviante in quanto fornisce l'idea di una valorizzazione del rifiuto mediante incenerimento. La qualcosa sposta, in maniera ingannevole, l'attenzione da quella che dovrebbe essere la corretta gestione della filiera del trattamento rifiuti: riuso ed eventualmente riciclo.
-Gli inceneritori/termovalorizzatori producono inquinamento nocivo al territorio e alle popolazioni a ridosso dell'impianto.
A sostegno della tesi al primo punto c'è che la normativa Europea in una sua direttiva, per il corretto trattamento del ciclo rifiuti, (ed anche quella italiana visto che l'ha fatta propria col Decreto Ronchi) identifica tra i criteri guida le seguenti strategie: riuso, reimpiego, riciclaggio, progettazione di beni di consumo pensando al loro completo ciclo vitale. Secondo tali dettami gli inceneritori, quindi, andrebbero inquadrati come un sistema di smaltimento solo un gradino al di sopra del conferimento in discarica.
In merito al secondo punto ,ossia al problema inquinamento, la questione è ancora più controversa. Le opposte fazioni si affrontano sbandierando dati che dicono tutto ed il contrario di tutto.
Proviamo se possibile a fare un minimo di chiarezza.
Sicuramente i progressi tecnologici hanno fatto si che la maggioranza degli inquinanti prodotti dai vecchi inceneritori siano assenti in quelli odierni. Ma nonostante ciò rimane controversa la questione delle nanopolveri. La combustione ad elevata temperatura elimina molti pericolosi inquinanti come Furani e Diossine ma produce una gran quantità di particolato. Questo, costituito da particelle incombuste di varie dimensione, viene in parte abbattuto con sistemi di filtraggio. Ciononostante le particole che hanno un diametro inferiore ai 2,5 nano metri sfuggono e passano per il cammino nell'atmosfera circostante. La qual cosa potrebbe sembrare, visto le loro ridottissime dimensioni, un particolare insignificante. In realtà non è così. Anzi sono proprio le loro ridotte dimensioni a renderle, particolarmente, insidiose. Esse infatti penetrano con facilità negli alveoli polmonari e da qui nel sangue con le conseguenze che facilmente ci si può immaginare. Ed ancora la loro successiva ricaduta sui terreni inquina il territorio e le falde acquifere sottostanti delle comunità di sottovento. Ovviamente la situazione è resa confusa dalla mancanza o forse reticenza di dati statistici ed epidemiologici che non siano di parte o quantomeno universalmente accettati. Sicuramente la dislocazione di grandi impianti concentrati in pochi punti non giova al miglioramento del problema. Questa concentrazione è dettata dalla mera esigenza di rendere gli impianti economicamente sostenibili (la totalità è a gestione privatistica). Opera non sempre semplice a causa della bassa efficienza energetica connaturata all'impianto stesso (basso potere calorifico del combustibile). In molti impianti per scarsità di combustibile si è costretti ad importare rifiuti da fuori regione con complicazioni indotte dal loro trasporto. Inizialmente per incentivare i privati ad investimenti in tal direzione (costruzione di inceneritori) si era introdotto il così detto "CIP 6". Cioè con la circolare no.6/1992 del Comitato Interministeriale Prezzi si riconosceva per otto anni dalla entrata in funzione dell'impianto una tariffa incentivata per cui si poteva vendere l'energia elettrica prodotta al Gestore Servizi Elettrici ad un prezzo triplo di quello di mercato. Incentivo che naturalmente veniva pagato dai cittadini con una quota del 7% sulla bolletta dei consumi elettrici. Questo incentivo ci è costato una procedura di infrazione da parte della Comunità Europea che ha ritenuto che l'interpretazione italiana di assimilare i rifiuti a fonte di energia rinnovabile fosse errata. Attualmente il CIP 6 è attivo solo per alcuni impianti entrati in funzione da poco ma appaltati moti anni addietro caso tipico è quello di Acerra presso Napoli. La situazione di per se abbastanza complessa è resa ancora più difficile da mali tipici del nostro paese come infiltrazione della criminalità organizzata e cattiva gestione della cosa pubblica. A tale proposito la magistratura ha sequestrato l'inceneritore di Terni rammodernato alla fine degli anni 90 perché la Società che lo gestiva avrebbe nascosto reiterate emissioni nocive. Eguale sorte hanno subito quello di Colleferro e del Pollino. Un intero capitolo sarebbe, poi, necessario per le vicende giudiziarie che hanno accompagnato la nascita e l'entrata in funzione del termovalorizzatore di Acerra e la grave emergenza che ha attanagliato per molti mesi la regione Campania. E' chiaro che in tale clima ogni decisione governativa è vissuta dai cittadini con sospetto ed è avversata. Una razionale gestione presupporrebbe una lenta modifica dei sistemi produttivi tenendo conto dell'intero ciclo vitale del bene e quindi anche del conferimento a rifiuto. Un riuso di questi ed in seconda istanza un suo riciclo. In ultima istanza l'incenerimento che andrebbe fatto in impianti di piccola taglia utilizzando preferibilmente sistemi di dissociazione molecolare come pirolisi o gassificazione che consentono una produzione energetica con maggior efficienza. Efficienza che conferirebbe agli impianti maggior flessibilità e quindi sostenibilità economica anche in piccole taglie. In tal modo ciascuna comunità gestirebbe il suo impianto responsabilizzando al massimo i membri della collettività stessa nelle operazioni di riuso e riciclaggio.
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