L'efficienza energetica di un qualsivoglia processo è data da un numero adimensionale compreso tra 0 ed 1 che è dato dal rapporto tra la potenza utilizzata divisa la potenza in ingresso. Poiché la potenza in ingresso è data dalla somma della potenza utilizzata e quella perduta si comprende come tale numero sia sempre minore dell'unità (è impossibile azzerare la potenza perduta). Migliorare la efficienza energetica di un processo equivale quindi a minimizzare la potenza perduta. In passato il problema dell'efficienza energetica è stato un problema relativamente importante. Cerchiamo di chiarire questo assunto. Fino agli anni settanta dello scorso secolo, in epoca di continuo sviluppo, l'efficienza energetica era considerato un parametro che avesse soltanto una valenza economica. Ossia migliorare l'efficienza energetica di un determinato processo veniva visto soltanto come la possibilità di ottenere un prodotto ad un costo più basso. Si era, infatti, in epoca in cui i derivati del petrolio avevano costi relativamente bassi e le tematiche ambientali erano tenute in scarsa considerazione. Con le crisi petrolifere degli anni 72 e 79 incominciò però a diffondersi la convinzione che lo sviluppo basato sui combustibili fossili non potesse durare all'infinito sia perché questi erano ritenuti prossimi all'esaurimento e sia perché avevano un impatto ambientale devastante. In particolare si iniziava a a capire che le immissioni in atmosfera di tonnellate e tonnellate di anidride carbonica, derivata dalla combustione di materiale fossile, stavano cuocendo il pianeta. Nel 1997, perciò, nella città giapponese di Kyoto più di 160 nazioni di tutto il mondo firmarono il famoso protocollo che le impegnava entro il 2012 a ridurre le emissioni di anidride carbonica del 5% rispetto alla produzione del 1990. Ad oggi la Comunità Europea, con un ulteriore passo, si è impegnata, in modo indipendente dalle altre nazione, a ridurre le emissioni di CO2 entro il 2020 del 20% rispetto al 2010. Si comprende così che, per tener fede a tale impegno, diviene improrogabile, da parte dei paesi membri della UE, di massimizzare l'efficienza energetica dei processi. Da studi condotti sui consumi energetici e sui loro flussi si è desunto che il consumo finale di energia in ambito nazionale è scomponibile in tre grosse fette che hanno più o meno un peso equivalente e con precisione: Energia per scopi industriali. Energia per scopi civili. Energia per trasporti. Da questa breve analisi ne deriva che contribuiscono in maniera determinante ad una corretta politica energetica non solo le scelte industriali ma anche quelle dei singoli cittadini che con i loro comportamenti possono incidere in maniera non marginale sulla riduzione degli sprechi con vantaggi ambientali ma anche economici soggettivi e collettivi.
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