Intendiamo per carburanti ecologici quei combustibili che utilizzati nei motori a combustione interna per autotrazione, nelle centrali termoelettriche o negli impianti per riscaldamento hanno un ragionevole impatto ambientale. Ossia che bruciando producono inquinanti trascurabili ed un ridotto quantitativo di gas serra. I carburanti ecologici possono così riassumersi: biocarburanti di prima e seconda generazione, gpl, metano ed idrogeno. Esaminiamoli separatamente. Il metano ed il gpl sono di origine fossile e pertanto non possono annoverarsi tra le fonti energetiche rinnovabili (per farlo richiedono tempi non paragonabili con la vita umana ma ere geologiche). Provengono da giacimenti singoli o inglobati in giacimenti petroliferi. La loro combustione però è più pulita di gasolio e benzina (polveri sottili in quantità trascurabili, assenza di idrocarburi aromatici, assenza di ossidi di zolfo, ossidi di azoto ridotti in percentuale dal 30 al 50%, immissioni di CO2 ridotte dal 20% al 50%.
L’idrogeno non è presente in natura e per ottenerlo bisogna spendere una quantità di energia che è superiore a quella che si ottiene con la sua combustione pertanto non lo si può annoverare tra le fonti energetiche ma solo tra i vettori di energia. La sua combustione è, però, estremamente pulita ed immette in atmosfera solamente acqua.
I biocarburanti di prima generazione sono fondamentalmente biodiesel e bioetanolo. Il primo si ottiene da oli vegetali che provengono da spremitura di semi o cereali come: colza, mais, soia, arachidi etc. con un processo chimico di trans esterificazione dei grassi. Il secondo si ottiene per fermentazione da zuccheri o carboidrati complessi e quindi da colture come canna da zucchero, barbabietole. L’impatto ambientale del biodiesel e bioetanolo è molto contenuto: assenza di idrocarburi aromatici, polvere sottili ridotte del 70% circa, assenza di ossidi di zolfo, bilancio delle immissione di CO2 pari a 0 si libera nell’ambiente la stessa quantità assorbita per fotosintesi dalla pianta. In realtà tale bilancio è truccato perché non si considera la quantità di CO2 che si libera per coltivare e lavorare la specie vegetale d’origine. Comunque anche tenendo conto con opportuni calcoli correttivi di tali fattori si ottiene che rispetto ai combustibili fossili come benzina e gasolio la quantità di CO2 immessa dalla combustione dei biocarburanti è inferiore del 60/70 %. Per tutti questi motivi la Comunità Europea ha disposto con una direttiva che entro il 2010 il 10% dei combustibili utilizzati nel Continente dovrà essere bio. Molti economisti però pur ritenendo giusto il principio ispiratore della direttiva(la riduzione dei gas serra)ritengono che il futuro sviluppo dei biocarburanti possa portare a serie ripercussione sul mercato dei prodotti alimentari specialmente nei paesi poveri del terzo mondo. La logica su cui si basa tale eccezione è che lo spostamento dell’agricoltura verso il mercato dei biocarburanti(allo stato attuale più redditizio)farà automaticamente diminuire la produzione degli alimenti che conseguentemente aumenteranno di prezzo. Trend già in atto nei mercati mondiali ed USA. La risposta a tutto ciò può essere un massiccio intervento della ricerca scientifica sui biocarburanti di seconda generazione. Questi ultimi si ottengono anziché da prodotti agricoli con interesse nel settore alimentare(cereali etc.)da prodotti agricoli minori (graminacee,alghe,sorgo) e da biomasse(materiali ligneo cellulosici scarti di agricoltura, materiale organico d’origine animale, rifiuti urbani). Le ricerche in tal senso anche se in fase iniziale sembrano ben promettere per un futuro prossimo.
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